Terminate le più importanti fashion weeks della stagione possiamo iniziare a tentare di trarre delle conclusioni sia sui tessuti che si sono visti sfilare sulle passerelle sia, come già succede da parecchie stagioni, sugli spettacoli multimediali a cui è stato possibile accedere da remoto.
Parrebbe di poter affermare con sicurezza che i tessuti caratterizzati da grandi patterns sono in netta riduzione sia per quanto riguarda la tessitura Jacquard sia per il mondo dei licci. In modo particolare si sono visti pochissimi motivi riquadrati a ispirazione scozzese, tartan, plaid, e overchecks. Rimane qualche falso “Principe di Galles” di dimensione ridotta rispetto alla stagione scorsa che, curiosamente, viene accettato anche quando contiene dei rapporti non divisibili per l’armatura producendo quindi degli effetti di colore bizzarri che tendono a rompere l’armonia della composizione.
Molto presente invece il gusto “verticaleggiante”, non inteso solamente come riga “regimental” o “boot stripe” ma in una atmosfera di ispirazione etnica africana.
I tessuti della tradizione africana
Vastissima è la cultura tessile africana che si esprime ai massimi livelli nelle tecniche di tintura “Wax”, importate in piena epoca coloniale dai tessuti indonesiani “Batik” e “Ikat”, che rappresenta un ottimo spunto di ispirazione per gli stampati policromatici di alta gamma. Senza dimenticare che anche nella tessitura ortogonale si possono trovare una serie di tessuti caratterizzati da identità specifiche sia per decorazione sia per territorio di produzione.
Tentando di non ridurre le diverse culture estetiche del continente ad un’unica serie di aggettivi, vorrei segnalare che fra le ispirazioni provenienti dall’Africa occidentale si sono visti Jacquard a gusto Bogolan, antichissimo tessuto maliano originariamente tinto con il fango; Adire, dal tipico colore indaco ottenuto dall’ albero di Elu e Kente, tradizionale del popolo Ashanti e composto con i rituali colori blu, rosso, verde e giallo.
A causa della loro verticalità, tutti questi tessuti si discostano nettamente da quelli provenienti dai territori orientali che si affacciano sull’Oceano Indiano, quali lo “Shuka” e il “Kikoi” che hanno motivi prevalentemente riquadrati in trama.
Marni e Kenneth Ize
Impossibile parlare di atmosfere africane nella moda senza accennare a Kenneth Ize, lo stilista dal recentissimo debutto sulle passerelle parigine che ha saputo attirare immediatamente l’attenzione degli addetti ai lavori, tanto da sviluppare la prima capsule collection per l’etichetta Karl Lagerfeld appena dopo la scomparsa del leggendario fondatore. I capi della sfilata, in parte realizzati con tessuti a mano attraverso la tecnica “Aso oke” e diventati uno dei simboli distintivi dello stilista nigeriano, sono stati abbinati a stoffe realizzate con tecnica industriale e rifinite in Italia, riuscendo in tal modo a mescolare la sensazione della mano “Couture” con cotoni ricchi di colori estivi e decorati con fantasie piacevolmente asimmetriche, dalla parvenza quasi casuale ma con un risultato finale pulito ed equilibrato.
Altra collezione molto ispirata al gusto verticale è stata quella di Marni; Francesco Risso ed il suo gruppo hanno costruito uno spettacolo sorprendente che ha coinvolto ospiti e artisti invitati tutti ad indossare degli spezzati in cotone riciclato, dipinti a mano con strisce colorate.
Questa trovata ad effetto pare essere stata studiata al fine di creare una successione continua e inscindibile fra pubblico e modelli in passerella. Nella sfilata della collezione le righe sono state interpretate in molti modi diversi, quasi a definire delle traiettorie figurative, allineate e tracciate da blocchi di colore, in perfetta continuazione con lo stile della casa di moda frutto di una ricerca che include natura, musica ed arte e definita da un largo impiego di riferimenti alla cultura visiva, ricca di colore, di origini africane.
Rossano Bisio
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