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L’Armonia tra Moda e Cinema: “Yamamoto e Wenders”




Immagine tratta da "Appunti di viaggio su moda e città"
Yohji Yamamoto

In un’epoca dominata da immagini effimere e superficialità, “Perfect Days” si distingue come un diamante grezzo, sapientemente lavorato da un acclamato regista internazionale. Dieci anni di dedizione e una carriera intera culminano in un capolavoro che unisce il pubblico in un abbraccio di emozioni.


Nel corso delle due ore di questo film, ci immergiamo in una vita apparentemente spoglia di fronzoli, dove l’essenziale è tutto. Il protagonista, un uomo che pulisce i bagni pubblici a Tokyo, ci guida attraverso una danza di minimalismo e profondità. La sua casa spoglia diventa un simbolo di autenticità, mentre il superfluo si dissolve come neve al sole.


Wim Wenders, il regista, non è nuovo a questi territori. Già in “Tokyo-Ga” del 1985, aveva esplorato il cinema di Yasujirō Ozu, il maestro giapponese del minimalismo cinematografico. Ora, con il personaggio di Hirayama, Wenders ritorna a quel terreno fertile, scavando ancora più a fondo nella cultura e nell’anima umana.

Per gli appassionati di cinema e moda, “Perfect Days” è un invito a guardare oltre la superficie. È un viaggio verso l’essenza, un’ode alla bellezza nascosta nelle cose semplici. E mentre il grande schermo ci avvolge, ci chiediamo se forse la perfezione è proprio qui, tra le pieghe di una storia che pulsa di vita e verità.


Già nel 1989, tra le strade di Parigi e gli angoli di Tokyo, Wim Wenders ci guidò attraverso un caleidoscopio di immagini. Il suo obiettivo? Catturare l’anima di uno stilista giapponese: Yohji Yamamoto.


Immagine tratta da "Appunti di viaggio su moda e città"
Yohji Yamamoto and Wim Wenders


Le telecamere registrarono la preparazione di una sfilata parigina e l’apertura di un nuovo negozio a Tokyo. Due città, due mondi, in cui Yamamoto si muove e si confronta. “Appunti di viaggio su moda e città” fu il titolo di questo documentario, un’opera commissionata da Centre Pompidou di Parigi, che esplorò la relazione tra abiti e luoghi.

Abiti, creati da qualcuno, indossati da qualcun altro all’interno delle cornici postmoderne offerte dalle aree metropolitane delle due grandi città. Nel nero profondo delle collezioni di Yamamoto, risuona la tradizione giapponese: il colore del contadino, dello spirito del samurai e del teatro Bunraku. Eppure, il bianco e i toni brillanti si fondono con l’ombra, come nei sogni di Hirayama, l’uomo che pulisce i bagni pubblici a Tokyo.


Wenders, nel suo documentare, con domande sagge e occhi attenti, rivela l’essenza di Yamamoto. Non solo come stilista, ma come essere umano. Nessuno può copiare la sua firma, il suo stile, la sua identità. Questo è ciò che lo salva, così come lo stile unico di Hirayama, perfetto nella tuta da lavoro che indossa durante il suo lavoro quotidiano.


Ma il rapporto fra il regista e lo stilista non si limita a questo lavoro degli anni Ottanta. Come in un caleidoscopico gioco di specchi, Wenders si è trasformato nel modello che ha sfilato nell’ultima passerella parigina Fall/Winter 24/25 dello stilista giapponese. Generazioni diverse di modelli si sono alternate in coppia sulla passerella a comporre una sorta di famiglia unita da un filo invisibile, come se fossero protagonisti di una scena tratta da “Perfect Days”.



Collaborazione fra Yamamoto e Wenders
Yohji Yamamoto sfilata Parigi 2024

Nella finzione del film, Hirayama ci dice che un vestito è più di un indumento. È un modo di dire chi sei o chi vorresti essere, così come Yamamoto crea abiti senza etichette, senza confini di genere o classe. Si ispira al passato, alle foto in bianco e nero che raccontano storie di vite diverse.



Immagine tratta da "Appunti di viaggio su moda e città"
Yohji Yamamoto


Come la traiettoria esistenziale di Hirayama, che lustra toilette, ascolta le musicassette d’antan e scatta con la sua vecchia macchina reflex a rullino. Immagini simili a quelle commentate da Yamamoto e Wenders durante le riprese di “Appunti di viaggio su moda e città”, come quella di Sartre ritratto da Cartier-Bresson su un ponte della Senna.


Yohji interpreta l’immagine del filosofo come se l’ampio cappotto che lo avvolge fosse “un amico speciale”, tenta di raggiungere il significato ultimo e più profondo di un capo di abbigliamento e Wenders vuole fare lo stesso nei suoi film di culto.


Questo articolo è un invito a guardare oltre la superficie, a scoprire la bellezza nascosta nelle cose semplici e a riflettere sulla profondità e l’autenticità che possono essere trovate in luoghi inaspettati. “Perfect Days” non è solo un film, ma un viaggio verso l’essenza dell’umanità, e tutto il suo mondo mi pare sintetizzato in una frase mantra: “adesso è adesso, un’ altra volta è un’altra volta”.



Rossano Bisio

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